Nuove amicizie

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È incredibile come volano le settimane. Ormai è un mese che sto qui, ma ogni tanto mi sembra molto più tempo.

Dopo essermi finalmente ripresa dalla doppietta virale che mi ha colpito tra Londra e Buenos Aires, ho cominciato ad addentrarmi di più nella “vita normale” (tipo andare dal parrucchiere e cose simili). In questo periodo ho tanto lavoro da fare, quindi i giri per la città e le uscite “sociali” sono stati relegati a piccoli sprazzi qua e là.

Ho passato un weekend molto bello, aiutata da tre persone molto carine. Prima di tutto, D. mi ha portato sulla riva del Rio della Plata (dove i porteñi vanno per sfuggire alla canicola cittadina e per rilassarsi con una birra o un po’ di kite surfing). L’acqua del fiume è rossiccio marrone (un po’ come il Tamigi) e anche se uno sa che l’Uruguay è vicino, dall’altra parte del fiume, questo è così ampio che, ai miei occhi inesperti, sembrava come il mare (con meno onde e senza aria salmastra). Abbiamo concluso la nostra giornata condividendo il nostro amore per il sushi (i ristoranti tradizionali argentini, di pesce, sembrano servire solo merluzzo) a Palermo, chiacchierando come amiche di vecchia data.

 

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Poi la domenica M. e suo fratello mi hanno fatto da guide personali nella parte storica di BsAs. Plaza de Mayo e la casa rosa, il mercato di San Telmo, Puerto Madero. Faceva molto caldo e c’era molta umidità, abbiamo camminato per ore, parlando in un misto di spagnolo e italiano, spettegolando delle amicizie in comune e scoprendo pezzetti di storia argentina (entrambi avevano voglia di parlarne e condividere, che è bellissimo).

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Prima della cena sushi, D. mi ha portato a La Glorieta, un padiglione dove ogni sera la gente si raduna per lezioni di Tango e poi ballare. È stato interessante vedere un misto di persone, tra nativi e stranieri, che cercavano di ballare nel padiglione affollato. C’erano anche vari signori attempati, belli sudati, che approcciavano le donne offrendo di insegnare a ballare. Devo dire che il sudore in particolare l’ho trovato molto scoraggiante (a parte il fatto che non avevamo le scarpe giuste!).

In un altro post ho menzionato J., l’amica con cui vivo. Condividere la casa con lei sta rendendo questa esperienza ancora più bella per vari motivi. Prima di tutto, avere lei qui mi ha permesso di venire senza dover fare alcuna ricerca (è l’area giusta? Costa troppo? Meglio stare un po’ qua un po’ là?), dato che l’aveva già fatta lei, quindi era un’ottima rete di sicurezza. Poi, lei è della vergine come me, quindi sapevo che la sua ricerca sarebbe stata ottima.

Ma, cosa più importante, è che ci troviamo benissimo come coinquiline! Siamo entrambe rilassate quando è importante esserlo, e a tutte e due piace avere il proprio spazio; però quando ci va ci facciamo delle belle chiacchierate lunghe. Quindi, per esempio, siamo state fuori a cena o per brunch, in cui ci siamo portate i rispettivi Kindle e abbiamo letto, mangiato, ci siamo rilassate. È una cosa per niente comune. Entrambe abbiamo avuto amici che hanno detto che gli andava bene portare un libro al ristorante, e poi invece ti parlano tutto il tempo (ogni volta aspettano qualche minuto che hai ripreso a leggere, così finisce che rileggi la stessa riga 50 volte!). Il tutto è semplice, scorre e mi piace molto.

L’altra cosa buona, in generale, è che stare qui ha abbassato tantissimo il mio livello di stress. I miei 2 telefoni sono quasi sempre silenziati (li attivo solo quando mi serve), il volume di email è diminuito, nessuno mi chiama, non ci sono problemi che spuntano qua e là. Alcune persone mi chiamano su Skype, ma in genere è perché ci siamo messi d’accordo e ci facciamo una bella chiacchierata, che è bello. E poi posso vederli. Il mio odio delle conversazioni al telefono si è rifatto vivo in modo forte. Oggi è squillato il telefono inglese… e ho sussultato! L’evento è diventato ormai talmente raro. Non ho risposto, anche perché qua i telefoni sono diversi e non riconosce i numeri. Non ho idea di chi mi abbia chiamato ed è fantastico!

Non sono abituata a così poco stress, e mi ci sta servendo del tempo per abituarmi. Ma è troppooooo bello e ha riconfermato uno dei motivi che mi hanno spinto a partire. E questa settimana ho scoperto che questa cosa che sto facendo, qualsiasi cosa sia, ha un nome: sono una digital nomad. E mi piace.

Cose che mi mancano questa settimana: i nipotini, ristoranti asiatici, chiacchierate tra amiche in pigiama

Cose che mi piacciono: il fatto che in argentina ci siano i bidet (viva la civiltà!), il caldo, l’acqua che gira in senso anti orario nello scolo

Prima della partenza

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Nell’avvicinarsi alla partenza per un lungo viaggio, non mi soffermo molto su cose come “Oh, mi mancherà [tizio-caio/cosa]” oppure “Ah, non ci sarò per [inserisci qui un bell’evento]”; non sono neanche molto preoccupata dei cibi che non potrò più mangiare o le strane cibarie che incontrerò (anche se pensare al cibo occupa molto spazio mentale per me). No. La preoccupazione principale, il pensiero fisso è relativo a… come dire? Il comfort.

Per una le cui ginocchia non entravano mai sotto al banco di scuola, per cui le scarpe ad anni 7 non potevano più essere acquistate nei negozi per bambini, e i cui piedi, da allora, non hanno quasi mai trovato una scarpa da donna calzante… per una il cui rapporto altezza/girovita si trova sempre al di fuori della tabella che indica la misura delle calze, una per cui, a 12 anni, il letto dell’ospedale pediatrico era imbarazzantemente troppo corto, e per cui hanno dovuto portare un letto da fuori; una per cui ogni letto da allora è sempre stato troppo piccolo, i piedi che spuntano sempre fuori. Per una i cui pantaloni sono sempre troppo corti, e per cui i sedili di bus, treni e aerei sono considerati strumenti di tortura. Una per cui “doccia” in genere significa lavarsi dal seno in giù, e cucinare in una normale cucina significa appoggiarsi le cosce al bancone, con conseguente mal di schiena…

Per una come me, che in quasi quattro decenni di vita ha dovuto imparare ad adattarsi e a trovare quelle poche e rare cose e posti in cui CI STAI, viaggiare significa doversela cavare senza tutte queste soluzioni.

In che letto finirò? Se ha un telaio rialzato, so che avrò grandi problemi.

Riuscirò a trovare pantaloni abbastanza lunghi o scarpe abbastanza grandi se le cose che sto portando con me vanno perdute/rotte/non sono adatte?

E i viaggi saranno insopportabili grazie a micro sedili e il mio ormai mitico mal d’auto?

Non so voi, ma se non posso dormire e sedermi in modo comodo, ed essere a mio agio nei vestiti che indosso, tutto ciò che ho intorno perde qualsiasi probabilità di godimento.

Per molti versi, vivere significa plasmare il mondo che ci circonda per farci stare bene, per adattarsi a NOI: dalle piccole cose pratiche come quelle che ho menzionato, fino al tipo di persone con cui scegliamo di condividere la vita. Quindi, buttarsi in un viaggio come questo, privati di tutte queste sistemazioni e modifiche guadagnate col sudore, che rendevano la vita più semplice, più gradevole, separarsi dagli amici e dagli affetti… per fare una cosa del genere bisogna essere un po’ speciali, un pochino pazzi, credo.

Spero vivamente che la scomodità in generale sarà minima, e che la mia immagine del Sud America come una terra di persone bassissime sia completamente ingiustificata.