Isole

She’s got everything she needs
She’s an artist, she don’t look back
She can take the dark out of nighttime
And paint the daytime black.

(Bob Dylan)

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Sto viaggiando tra isole.

Prima di tutto sono stata all’isola d’Elba. Storica, bellissima, quasi impregnabile. Sono andata all’Elba per un matrimonio; un matrimonio che non vedevo l’ora di vivere da tanto tempo, e che si è rivelato anche più fantastico delle aspettative.

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Il tempo era variabile, ventoso. Mi sono incontrata con alcuni degli altri ospiti per andare all’Elba e poi beccare gli altri. La maggior parte di noi dormiva nello stesso posto, il luogo del ricevimento. E la maggior parte di noi che già si conosceva un po’ e veniva da Roma era, originariamente, secoli fa, amici di scuola.

Vedete… io sono andata a una scuola speciale. Non “speciale” nel senso negativo, ma in quello positivo. Parzialmente anche dato dal fatto che io sono andata via dall’Italia non appena mi sono diplomata, sono rimasta amica, e in alcuni casi ho sviluppato un’amicizia più stretta, con delle persone che conosco da quando ho circa 14 anni. Per alcune persone questo potrebbe sembrare strano, per altre affatto. Per me, è praticamente un miracolo. Ma la storia della nostra scuola e delle nostre amicizie va raccontata un’altra volta. Basta dire che c’è un bel gruppo di amici (anzi, vari gruppi) che è emerso da quell’esperienza e, anche se siamo separati dalle distanze geografiche, andiamo veramente d’accordo.

Quindi, con questo gruppo disparato mi sono ritrovata all’Elba a passeggiare, a passare il tempo, a chiacchierare e spettegolare, e certe volte a essere irritata: è così tanto che viaggio da sola che trovarmi improvvisamente in dinamiche di gruppo mi ha un po’ sconvolto. Poi, il tratto peculiare dei romani di essere completamente indecisi e temporeggiare su praticamente tutto, mi stava velocemente facendo impazzire. Quindi un paio di volte ho “sclerato”. Quindi, ehm, scusatemi ragazzi!

L’altra spiegazione per questo fatto è che la notte prima del matrimonio non mi sentivo molto bene, e mi ero convinta che mi sarebbe partita una bella influenza o cose simili. Ho fatto bozzolo nel letto, mi hanno portato altre coperte, ho perfino saltato la cena (e chi mi conosce bene sa che io non perdo MAI un’opportunità per mangiare… quindi stavo davvero male… non ricordo l’ultima volta che non ho avuto fame). Dopo una notte piena di sogni strani ho avuto una mattina malaticcia ma poi, miracolosamente, quando si è fatta l’ora di andare in Comune, mi sentivo bene e alla fine mi sono divertita da matti.

La durata del matrimonio ha sfidato quella dei matrimoni indiani: dalle 11 di mattina a mezzanotte, ballando, mangiando, giocando a calcio e (qualcuno – non io!) che ha deciso di farsi un bagno proibito in piscina a mezzanotte, mentre altri hanno cercato di accendere delle lanterne volanti, però una si è incastrata in degli alberi :/

Al matrimonio ho pianto un pochino (mi capita spesso, cavolo) e ho pensato che mi sento pronta ad avere nuovamente una storia seria, con gli occhi aperti e senza la testa nel mondo delle fiabe. Vedremo cosa porta la vita. Sono speranzosa, ma forse proprio questo vuol dire avere la testa nel mondo delle fiabe.

Sono rimasta all’Elba qualche altro giorno. La mia casa si trovava in Via dell’Amore, perfetto, no? Ho mangiato ottimo pesce, ho camminato e lavorato (come sempre). Purtroppo il tempo non era sufficientemente buono per la spiaggia.

Poi sono andata a Roma, e qui non ne parliamo…

Dopo Roma, mi sono imbarcata per un traghetto di 14 ore per Cagliari (portavo la macchina di mia zia). Mi sono dovuta prendere la Xamamina, il mare era un po’ mosso (mi sento male anche a stare su un pontile galleggiante) e quindi il viaggio è passato abbastanza velocemente. Da Cagliari sono andata verso ovest e poi ho preso un altro traghetto, stavolta breve, per l’Isola di San Pietro e Carloforte, la punta sud-ovest della Sardegna. Dopo c’è solo la Tunisia…

Quindi sono su un’isola di un’isola di una penisola. Non credo si possa fare di meglio… E poi, la connessione internet qui è MOLTO instabile, quindi la uso poco. Che non è negativo. Passo i giorni da sola, vado alla spiaggia (per ora solo due giornate sufficientemente calde per prendere il sole e farsi un bagnetto), lavoro, scrivo, leggo. Sto facendo detox del mio cervello (o almeno spero).

Tra qualche giorno mia madre e mia zia arriveranno qui e ci godremo il Girotonno, che festeggia il prodotto di punta dell’isola: il tonno. Il che significa che mangerò un botto.

L’altro aspetto di questa sezione di viaggio è che lo trovo molto introspettivo. Da quando ero piccola, mio padre ci portava in Sardegna tutti gli anni per due-tre settimane, in genere alla fine dell’estate (per il mio compleanno) quando era tutto più tranquillo ed economico. È vero che le giornate erano più brevi, ma l’acqua era più calda e si pescava bene, ma non sempre.

Mettere nuovamente piede in Sardegna e odorare i suoi odori unici, provare i suoi sapori fantastici, mi ricorda di tutte quelle vacanze estive, di andare a pesca con papà e doversi quasi sempre accontentare di zuppa di pesce (anche se una volta ho pescato un’occhiata!), di preparare l’esca, mettendola nel frigo tutta puzzolente, di dovermi tuffare dal nostro gommone ogni volta che mi sentivo male (capitava spesso), di possibili insolazioni, di pelle così scura che sembravo un’altra persona, di sale, di gambe esfoliate dalla sabbia, di panini al pomodoro fresco, di andare con maschera e boccaglio alla ricerca di polipi, di gelati nel pomeriggio e di giocare con mio fratello e i cugini, di leggere in spiaggia per ore e ore, non sentendo il calore. Ricordo di non volere che quelle vacanze finissero mai, perché subito dopo ricominciava la scuola per un nuovo anno.

Non sono mai venuta a Carloforte con mio padre, e a dire il vero è diversa dal resto della Sardegna (a causa delle sue influenze genovesi e altre), ma per molti versi è uguale. Qui sento che mio padre potrebbe aprire la porta in qualsiasi momento, di ritorno dall’aver comprato cornetti caldi dal fornaio, impaziente di cominciare a pescare.

Speriamo che stavolta ne peschiamo uno grosso.

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Identità

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Una delle domande che mi vengono poste più di frequente, e che trovo davvero difficile a rispondere, è la semplice “Di dove sei?”.

Ultimamente ci sto pensando molto. Dopo anni di tentennamenti, finalmente mi sono tuffata e ho chiesto (e ottenuto) la cittadinanza britannica.

Potreste pensare che la domanda di cui sopra abbia una risposta semplice e, per molte persone, è proprio così. Ma per me, e per molte altre persone, sempre più persone infatti, non c’è una risposta semplice e diretta.

Sono nata in Italia da genitori italiani – allora voi mi direte, sei italiana! Sì, lo sono, ma solo fino a un certo punto. Quell’identità mi era sempre stata scomoda, come dei vestiti ereditati di seconda mano. Sono andata via dall’Italia a 18 anni.

Sono diventata cittadina britannica – quindi, vi sento gridare, sei inglese/britannica! Ma… è davvero così? Per certi versi non lo sarò mai. Per quanto mi riguarda… non mi sento così.

Quando altre persone che parlano inglese mi sentono parlare, notano subito l’accento “inglese”, anche se dopo un po’ di tempo con gli americani si ammorbidisce parecchio.

L'”identità” che sento più vicina, che mi calza meglio è quella di londinese. Dentro di me sono, e sarò sempre, una Londoner. Non sono molte le città che ti accettano e ti accolgono indipendentemente da dove sei arrivata, che lingua parli, che lavoro fai o quanti soldi hai. Quindi ecco, sono questo. Se ci fosse una cittadinanza londinese ufficiale, avrei preso quella, ma purtroppo siamo ancora bloccati sulle nazionalità. E poi, a giudicare dalle recenti elezioni in UK, questo senso di differenza dal resto del paese e dell’appartenenza di Londra non è assolutamente limitato a noi “stranieri”. Il centro di Londra sembra essere una calamita che attrae quasi solo persone che la pensano in modo simile.

Altri amici mi chiedono se avrei preso la cittadinanza britannica se avesse voluto dire abbandonare quella italiana. La risposta è che non lo so. Non credo che saprei cosa sceglierei a meno che non fossi davvero davanti alla scelta…

La mia famiglia sta sempre in Italia, la maggior parte del mio lavoro è in UK e in Europa, i miei amici un po’ sparsi dappertutto. Il cibo che adoro, sebbene sia partito dall’Italia, ora si è diramato in direzioni impossibili e inaspettate. Sento che definendomi secondo la nazionalità, mi sto limitando. Forse è un malessere dei nostri giorni: guardatemi, sono così tanto di più che questa semplice etichetta! Comunque… a me sta scomoda.

 

Pensiamoci in un modo diverso. Una persona, ad esempio, nata da una madre francese e un padre senegalese, nata negli USA ma cresciuta a Hong Kong. Da dove viene?? Mi gira la testa. Ma mi affascinano queste cose. Un mio amico africano mi ha detto che lui, prima di tutto, si identifica come nero. Per quanto mi riguarda, londinese e, credo, donna prima di tutto. La razza e la nazionalità non sono cose che contano, per me, ma dopotutto, l’identità è un concetto fluido.

 

So che è un po’ kitsch ma, ogni tanto, vorrei semplicemente rispondere: Io sono del pianeta Terra, e tu?