Nell’avvicinarsi alla partenza per un lungo viaggio, non mi soffermo molto su cose come “Oh, mi mancherà [tizio-caio/cosa]” oppure “Ah, non ci sarò per [inserisci qui un bell’evento]”; non sono neanche molto preoccupata dei cibi che non potrò più mangiare o le strane cibarie che incontrerò (anche se pensare al cibo occupa molto spazio mentale per me). No. La preoccupazione principale, il pensiero fisso è relativo a… come dire? Il comfort.
Per una le cui ginocchia non entravano mai sotto al banco di scuola, per cui le scarpe ad anni 7 non potevano più essere acquistate nei negozi per bambini, e i cui piedi, da allora, non hanno quasi mai trovato una scarpa da donna calzante… per una il cui rapporto altezza/girovita si trova sempre al di fuori della tabella che indica la misura delle calze, una per cui, a 12 anni, il letto dell’ospedale pediatrico era imbarazzantemente troppo corto, e per cui hanno dovuto portare un letto da fuori; una per cui ogni letto da allora è sempre stato troppo piccolo, i piedi che spuntano sempre fuori. Per una i cui pantaloni sono sempre troppo corti, e per cui i sedili di bus, treni e aerei sono considerati strumenti di tortura. Una per cui “doccia” in genere significa lavarsi dal seno in giù, e cucinare in una normale cucina significa appoggiarsi le cosce al bancone, con conseguente mal di schiena…
Per una come me, che in quasi quattro decenni di vita ha dovuto imparare ad adattarsi e a trovare quelle poche e rare cose e posti in cui CI STAI, viaggiare significa doversela cavare senza tutte queste soluzioni.
In che letto finirò? Se ha un telaio rialzato, so che avrò grandi problemi.
Riuscirò a trovare pantaloni abbastanza lunghi o scarpe abbastanza grandi se le cose che sto portando con me vanno perdute/rotte/non sono adatte?
E i viaggi saranno insopportabili grazie a micro sedili e il mio ormai mitico mal d’auto?
Non so voi, ma se non posso dormire e sedermi in modo comodo, ed essere a mio agio nei vestiti che indosso, tutto ciò che ho intorno perde qualsiasi probabilità di godimento.
Per molti versi, vivere significa plasmare il mondo che ci circonda per farci stare bene, per adattarsi a NOI: dalle piccole cose pratiche come quelle che ho menzionato, fino al tipo di persone con cui scegliamo di condividere la vita. Quindi, buttarsi in un viaggio come questo, privati di tutte queste sistemazioni e modifiche guadagnate col sudore, che rendevano la vita più semplice, più gradevole, separarsi dagli amici e dagli affetti… per fare una cosa del genere bisogna essere un po’ speciali, un pochino pazzi, credo.
Spero vivamente che la scomodità in generale sarà minima, e che la mia immagine del Sud America come una terra di persone bassissime sia completamente ingiustificata.